Il fumo è responsabile di un maggior numero di decessi di quelli provocati da alcool, droghe, AIDS, incidenti stradali, omicidi e suicidi, messi tutti insieme. L’OMS stima che il tabacco uccida ogni anno circa 6 milioni di persone e che chi fuma vive in media 14 anni di meno della media dei non fumatori ed in condizioni di salute più precarie.
I polmoni sono quelli che subiscono i danni maggiori, ma il fumo provoca danni a tutti gli organi e anche la bocca evidenzia grossi problemi.
Il dentista è forse uno dei primi operatori sanitari a notare i danni derivati dal fumo, quelli più facilmente evidenti, quelli che il paziente stesso può riconoscere.
Il fumo causa macchie e colorazione dei denti, delle protesi e delle otturazioni. Aumenta la formazione del tartaro. Riduce l’ossigenazione nelle gengive, favorendo l’insorgere di gravi forme di parodontite, cui consegue la formazione di tasche gengivali con aumento della mobilità dentale e perdita dei denti, a volte anche in presenza di un’ottima igiene orale.
Le difese antibatteriche sono così danneggiate dal fumo che è sufficiente anche una scarsa presenza di batteri patogeni per consentire la prosecuzione della malattia parodontale.
Fumare rallenta la guarigione delle ferite. Aumenta da 2,3 a 5,8 volte il rischio di un insuccesso implantare rispetto ai non fumatori e da 3,6 a 4,6 volte quello di perimplantite (infezione uguale alla parodontite ma intorno all’impianto dentale). Le alveoliti post-estrattive (infezioni dell’osso dopo un’estrazione dentaria) sono 4 volte più frequenti nei fumatori rispetto ai non fumatori. Il tabacco provoca anche una tipica, forte e sgradevole alitosi.
Inoltre il fumo incide molto anche sul lato economico, con grandi spese per l’individuo e con enormi guadagni per le multinazionali del tabacco ed ancora di più per lo stato.
Purtroppo smettere di fumare non è così semplice, anche se secondo Mark Twain era la cosa più facile al mondo, visto che lui aveva smesso di fumare migliaia di volte. Ma, scherzi a parte, la prima cosa necessaria per smettere di fumare è la forza di volontà che purtroppo da sola non basta. Solo tre persone su cento smettono di fumare in questa maniera. Per gli altri novantasette servono degli altri aiuti. Ci sono decine di libri con consigli più o meno validi ma il percorso migliore da fare, se la propria forza di volontà non è sufficiente, è rivolgersi ai centri anti fumo (qui c’è la lista aggiornata redatta dall’istituto superiore di sanità) che oltre a terapie di gruppo o counseling individuale possono anche somministrare farmaci.
I farmaci che possono aiutare
In un primo gruppo si annoverano i sostituti della nicotina: cerotti, gomme da masticare, compresse o inalatori (le “sigarette elettroniche”), il cui scopo è quello di sostituire la nicotina che il fumatore non assume più tramite la sigaretta. L’obiettivo è quello di attenuare i disturbi dovuti all’astinenza da nicotina e alla gestualità del fumare.
Alcuni studi indicano che l’utilizzo di questi prodotti può aumentare del 50-70% la probabilità di successo.
Un altro farmaco è il bupropione, un antidepressivo che con un meccanismo di azione non conosciuto toglie ai pazienti il desiderio di fumare. Si ricorda che il bupropione è un farmaco che può comportare degli effetti collaterali e pertanto è rilasciato solo dietro prescrizione medica, e il trattamento deve svolgersi sotto un controllo medico appropriato.
Un altro gruppo di farmaci sono gli antagonisti parziali dei recettori nicotinici. La vareniclina e la citisina (quest’ultima solo in forma galenica). Entrambi i farmaci stimolano parzialmente i recettori nicotinici dando quindi una sensazione simile alla sigaretta e nello stesso tempo li bloccano, per cui se si fuma non si riceve nessun piacere aggiuntivo. Per approfondire cliccare qui.
Utile potrebbe essere l’associazione di una sigaretta elettronica priva di nicotina che mima le gestualità del fumo con la preparazione galenica citisina che stimola parzialmente i recettori nicotinici
Per il successo della terapia è bene ricordare che è sempre necessaria la volontà del paziente e la consapevolezza che il farmaco è un aiuto, non la soluzione finale.
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